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Immagine trovata su blog.panorama.itNon c’è cosa più difficile al mondo che ammettere di aver preso una cantonata epocale senza ridursi all’auto da fe che i sinistri pretendono per riammetterti nel consesso delle personcine perbene. Prima o poi anche il liberal-conservatore più tollerante e pacifico finisce col perdere la pazienza.

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Come si fa ad ammettere di aver preso un abbaglio clamoroso senza cospargersi il capo di cenere e dare il fianco alla vendetta dei soliti livorosissimi sinistrati mentali? Trattasi di esercizio di altissimo equilibrismo politico-dialettico, roba da palati e menti finissime. Forse per questo, forse perché ho nelle orecchie il buon Giovanni Lindo Ferretti che canta “Radio Kabul” (alle volte la funzione random sembra leggerti esattamente nel pensiero), forse perché sono stanco e non ho voglia di arrampicarmi sugli specchi, nemmeno ci proverò. Bando alle ciance ed ai giri di parole. Il liberal-conservatore con tendenze libertarie ma realista dal punto di vista geopolitico nonché pasdaran liberista (quasi quasi mi faccio stampare una maglietta, che mi sono stufato di presentare ogni volta questo biglietto da visita ideologico) qui scrivente ne ha piene le tasche dell’esecutivo che non governa il paese che gli ha dato i natali (e non molto altro). Ora basta, Silvio, piantala di farci e farti del male. Piantala di fare il gioco dei poteri forti, piantala di prenderti le colpe di un disastro che solo in minima parte hai contribuito a creare. Vogliono un governo di intesa nazionale per sequestrare il sequestrabile agli individui e a chi si ostina a campare non alle spalle della plebe? Se lo facciano da soli, lorsignori, quelli tanto belli tanto buoni tanto preoccupati del benessere del popolo. Mettano la faccia, le firme ed i voti sui decreti che manderanno in rovina mezza Italia. Basta con le commedie, è il momento di fare le cose sul serio. Se rapina dev’essere, rapina sia. E se il popolo avrà voglia di protestare contro il ladrocinio, abbiano il coraggio di mandare l’esercito per le strade a sparare ad alzo zero, stile Bava Beccaris. Alla fine è arrivato il momento della chiarezza. O con We the People o con chi campa dei soldi estorti alla gente che lavora.


Come cantava tanti anni fa Ferretti, “al principio era ‘Pravda’ / parola-verità”, all’inizio il signor Silvio Berlusconi, vero e proprio eroe per i figli degli anni ’70, unico self-made-man italiota, la cui parabola fulminante ha marchiato a fuoco gli anni ’80, con le sue lotte contro l’odioso monopolio della RAI della partitocrazia pentapartitica e la sua voglia di esibire quel successo e quella ricchezza alla quale tutti noi emuli di Alex P. Keaton e Gordon Gekko aspiravamo. Il signor Silvio Berlusconi, con quell’anima da parvenu che lo spingeva a fregiarsi di quel titolo che faceva tanto ‘cumenda brianzolo’, nonostante puzzasse lontano un miglio di socialismo reale, era l’eroe di quell’Italia cresciuta a pane, Nutella, cartoni giapponesi e telefilm americani, di quei bambini che imparavano l’etica del lavoro ed il rispetto per il successo dai mille anime ingurgitati con insaziabile fame e poi rimanevano interdetti quando i propri coetanei non mostravano ammirazione per i risultati accademici come nelle classi ordinate con gli studenti con l’uniforme nera e gli occhi enormi dei teleschermi. Il signor Silvio Berlusconi sembrava parlare al cuore di tutti noi, con le sue parole che sembravano trasudare sicurezza e quel “can-do spirit” per sempre impersonato dai numi tutelari della nostra generazione, mamma Maggie e papà Ronnie.

Seguimmo l’uomo dal sorriso smagliante come per un riflesso condizionato, con negli occhi le vittorie dell’irripetibile Milan di Arrigo Sacchi, del cigno di Utrecht e di Franz Baresi. Ci aspettavamo l’ennesima storia a lieto fine, fatta di trionfi, magari in mezzo a mille avversità, ma dal risultato scontato. Le cose, inutile dirlo, sono andate in maniera enormemente diversa. Non abbiamo più vent’anni, i capelli o si sono ingrigiti o hanno iniziato a lasciarci senza nemmeno salutare, le peripezie personali e collettive si sono moltiplicate. Non abbiamo più quello sguardo luminoso dei giovani, rischiarato dall’ambizione e dalla sicurezza dei propri mezzi. Le troppe porte sbattute in faccia ci hanno indurito, resi cinici, sospettosi, talvolta meschini e soprattutto hanno incredibilmente ridotto i nostri obiettivi. Se, in quel lontano 1993, qualcuno mi avesse detto che sulla soglia dei quarant’anni mi sarei ritrovato da solo, senza uno straccio di famiglia, con una carriera appena abbozzata, con un numero enorme di anni gettati via inseguendo patetiche chimere, gli avrei dato del pazzo. Le cose dovevano andare in maniera diversa, molto, molto diversa. Il tradimento dell’uomo dal sorriso smagliante è tanto più doloroso perché ci ricorda come questo presente sia lontano mille anni luce da quello che ci immaginavamo tanti, troppi anni fa, quando tutto era ancora possibile.

La funzione random mi propone ora l’ennesimo consiglio per la scrittura. Amanda Palmer sembra urlare con un misto di disperazione e autoreferenzialità che solo i sinistrati veri sono in grado di padroneggiare “and I’m still not getting what I want / I wish you could remind me who I was / because every day I’m a little further off“. Comprendo benissimo questo sentimento e penso che molti miei coetanei soffrano della stessa patologia. Siamo rimasti pervicacemente attaccati al signor Silvio Berlusconi perché speravamo che il mago della televisione potesse fare il miracolo e riconsegnarci in qualche modo quel futuro che ci era stato portato via da sotto il naso. Votavamo il signor Silvio Berlusconi perché ci ricordava quello che eravamo un tempo, i sogni e le speranze di allora. Gli perdonavamo ogni meschinità, ogni vigliaccheria, ogni stravaganza senza vederle per quello che erano, ovvero riflessi della sua vera personalità, del suo patologico desiderio di essere sempre al centro della scena, amato, adorato da tutti, piacione all’ennesima potenza, prototipo quasi archetipale del gallismo italiota, a “men’s man” ridotto a patetico satiro, ombra di sé stesso a caccia della giovinezza perduta per esorcizzare il momento del bilancio finale.

Beh, signor Silvio Berlusconi, non siamo più i ragazzini che guardavano Deejay Television, abbiamo ricevuto più di una dura lezione dalla vita e la nostra pazienza è giunta al limite. Ora basta. Basta con la mascherata, basta con le vuote parole, basta con l’insultare la memoria e l’ideale liberale al quale molti di noi hanno dedicato la propria esistenza. Basta turarsi il naso. Basta “ma gli altri sono peggio”. Gli altri sono peggio, molto peggio, canaglie senza onore e dignità che hanno svenduto l’anima al primo potentato economico di passaggio, possibilmente straniero e munifico. Quella gentaglia sappiamo come combatterla, senza quartiere, senza pietà, fino alla loro distruzione definitiva. Un fantasma della nostra giovinezza che ci ricatta con le dolci memorie di un tempo più felice non sappiamo come affrontarlo.

Se ha ancora un minimo di dignità e di affetto per chi, a torto o a ragione, ha creduto nel sogno di Forza Italia e nella rivoluzione liberale mille volte annunciata e diecimila volte tradita, faccia un favore a sé stesso ed al Paese. Se ne vada. Faccia un accordo dietro le quinte, si liberi dall’abbraccio mortale della figliolanza e venda tutto allo Squalo Murdoch, uno che i sinistri sa come trattarli. Lasci che a commettere le canagliate necessarie per puntellare un sistema criminale che sta schiavizzando questa e chissà quante generazioni future siano lorsignori. Ci restituisca un nemico da abbattere, non un vecchio idolo che ci costringe ad uccidere la nostra memoria.