Uno dei riti degli esiliati-emigrati è il ritorno a “casa”, luogo quasi mitico. Anche l’Apolide si è deciso a sottoporsi a questo supplizio. I risultati farebbero felice qualsiasi dottore. A parte questo, c’è spazio anche per qualche riflessione non particolarmente allegra, as usual.
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Fin da quando prenoti il volo di ritorno, il pensiero di rivedere casa tua e tutto quello che ti stava più caro prima di andartene prende posto da qualche parte in fondo al tuo cervello, riemergendo sempre e comunque nei momenti meno opportuni. La data la segni sul calendario, calcoli quanto manca alla partenza. Quando stampi il boarding pass, inizia un certo nervosismo. “Allora succede davvero”, ti viene da pensare. E giù con gli elenchi di cose da fare, gente da incontrare, posti nei quali vuoi assolutamente andare. Ogni tanto, mentre cammini verso la fermata dell’autobus con l’ombrello sferzato dal solito, infamissimo, vento carico di pioggia, ti domandi dove andrai al mare, se sia preferibile un posto vicino o altre località alle quali sei affezionato, visto che ci hai passato estati noiose ma che hai avuto il tempo di rivalutare ampiamente. Insomma, ogni tanto riesce pure di imbastire un sorriso.
Poi l’aereo atterra in Itaglia ed il sorriso, magicamente, si spegne.
Sapere che le cose non vanno non è affatto la stessa cosa che verificarlo con mano. Cinque mesi e spiccioli non sono un granché, ma bastano ed avanzano per rendersi conto che un altro mondo non solo è possibile, ma che è a meno di due ore d’aereo. Mille dettagli ti saltano agli occhi e nel giro di mezz’ora sei di nuovo sprofondato nel pessimismo cosmico che pensavi di esserti lasciato alle spalle una volta lasciata questa valle di lacrime. I programmi, le liste di cose da fare, di persone da incontrare sembrano evaporare come nebbia al sole. Nel giro di pochissimo tempo torni alle pessime abitudini di una volta, al ritmo di vita languido ed improduttivo che sembra caratterizzare questa landa desolata.
L’Itaglia non è un mistero racchiuso in un’enigma, come si usava dire. Trattasi di un pantano infernale, in grado di estinguere anche i migliori slanci d’entusiasmo, di ricondurre tutto alla mediocrità imperante nel giro di poche ore. I tanti discorsi fatti con gli amici sulla via d’uscita dal casino epocale nel quale ci hanno cacciato i nostri improvvidi genitori, affidandosi ad una classe di cleptomani impuniti con la speranza inconfessabile di guadagnarci qualcosa, appaiono subito quello che forse sono; dissertazioni accademiche sul sesso degli angeli. Le riforme sembrano molto sensate quando si è nella propria casetta londinese, con gli occhi puntati sullo schermo del computer per non vedere le nuvolaglie minacciose che riempiono il cielo. Di fronte all’orizzonte assolutamente privo di nuvole di questo primo giorno d’estate itagliana, sembrano disastrosamente scollegati dalla realtà delle cose.
Rebus sic stantibus, il sistema è irriformabile, sia dall’interno che dall’esterno. Le minacce mortali che incombono sulla penisola dei caciocavalli non fanno alcuna paura alla classe di predoni che, da decenni, dissangua il laborioso popolo italiano. Bancarotta? Figuriamoci che me ne frega. Svalutazione? Vedi sopra. Uscita dall’euro? Ha! Tanto io ho fior di immobili ed un super-stipendio pagato dal parco buoi al quale estorco denaro un giorno sì e l’altro pure. Prima o poi i soldi degli altri finiranno? Scherzi?! Le famiglie italiane sono ancora poco indebitate ed hanno una montagna di immobili di proprietà e titoli di stato. Le prime si espropriano, direttamente o indirettamente; i secondi si congelano fino a quando l’inflazione non ne avrà distrutto il valore. La ricchezza, in un sistema di fiat money, è sempre octroyée, concessa e tollerata dai potenti. Quando si saranno finite le fonti di denaro facili, basterà inasprire l’inquisizione. L’importante è che i soldi nelle tasche delle persone giuste, degli amici degli amici, dei figli di, dei raccomandati incapaci e nullafacenti ma dalle parentele illustri, continuino ad arrivare regolari. I metodi di Equitalia ci sembrano oltraggiosi? Non è che l’inizio. I pochi soldi nel conto corrente italiano sembrano sempre più a rischio. Forse sarebbe più prudente spenderli o trasferirli altrove. Forse non servirà a molto, visto il patatrac globale prossimo venturo, ma è sempre meglio di restare qui ad aspettare che la mannaia ci scenda sul collo.
Verrebbe da ripetere le parole di Winston Smith, “l’unica speranza è nei proletari”, ma poi l’occhio cade sulla televisione, che i genitori dell’Apolide si ostinano a tener accesa (working on that) e le poche speranze svaniscono. Non tutti gli “italiani medi” saranno come i personaggi allucinanti di “Tamarreide”, ma non si può chiedere troppo ad un popolo che dal 1924 continua imperterrito a scegliere sempre le soluzioni sbagliate. Nonno Winston, quando diceva che “sceglieranno la soluzione giusta dopo aver provato tutte quelle sbagliate”, stava parlando degli americani, non certo degli italiani, che disprezzava intimamente e profondamente, con quel misto di invidia e rabbia che hanno verso l’ex Bel Paese gli inglesi upper-class. Tutto sbagliato, tutto da rifare? Forse, ma ripeterlo non aiuterà ad uscire dalla fanghiglia malefica che ci sta soffocando. Soluzioni cercasi, disperatamente. L’orologio della Storia continua a ticchettare implacabile. Do or die, dicono gli anglici. Difficile dargli torto. Loro non sono messi particolarmente meglio, ma hanno capito l’assoluta urgenza del momento e stanno provando, magari in maniera poco decisa, a porre rimedio. Qui ci si scanna per spostare qualche poltronificio a destra o manca. Non ci siamo, non ci siamo proprio per niente.
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Ho sempre sperato, sotto sotto, di tornare a vivere in Italia. Sono una sentimentale.
Ma proprio ieri dicevo a mio marito che ha ragione lui, che ci torneremo, certo, in vacanza….!
Vacanza forse, ma VERA, non tornare a casa con familiari e cose a te care per renderti conto di come niente sia cambiato mentre il tuo universo è ormai diversissimo. Il posto è sempre lo stesso, sei te che sei cambiato/a e ti rendi sottilmente conto di non essere più a “casa” e che, in fondo, non potresti mai tornare a vivere quella non-vita. So di sembrare melodrammatico, ma non è un momento semplice. Anche oggi, mentre sceglievo altri vestiti da portarmi in Albionia, mi sembrava di star ripartendo un’altra volta. Forse mi sono reso conto che la mia vita vera ormai è altrove, anche se non ho rete sociale, amori o qualsiasi altra cosa oltre ad un lavoro che mi piace e che mi rende non felice ma ogni tanto soddisfatto di quello che faccio. Non so bene cosa pensare o perché ne stia parlando in maniera così sfacciata in luogo pubblico. Ho una gran confusione in testa, magari più avanti, tornato al fresco di Londra (che inizio quasi -ho detto quasi- a rimpiangere) riuscirò a capirci qualcosa.
Sperimenti l’antico dramma dell’emigrato/espatriato, non sei più quello che eri, non riesci ad essere quello che vorresti. Certo, razionalmente puoi pesare i vantaggi della nuova vita. Li esamini. li confronti con la vecchia, concludi che il trade-off è positivo. Razionalmente hai compiuto la tua missione.
Senti però che manca qualcosa e che mancherà per sempre. Finchè l’interruttore del lato razionale è ON, tutto bene, ma ogni tanto (o spesso, per ognuno è diverso), va su ON lo switch delle emozioni. Allora sei trafitto da ciò che hai perso per sempre. Non le cose o la vita che avevi ma il modo in cui le vedevi. Sei cambiato tu. Quindi forse non è il dramma dell’espatriato, è quello degli anni che passano
Coraggio, va tutto bene 🙂
Luca, vedrai che il tempo ti aiuterà a trovare un equilibrio tra il tuo passato, il tuo presente ed il tuo futuro.
So che non c’entra nulla, ma sai, nel buddismo viene detto che per crescere “sulla via del bodhisattva” è necessario andarsene dal proprio paese. Credo che sia perché un sacco di illusioni ti cadono dagli occhi. E all’inizio è molto doloroso, anche perché chi è rimasto a casa non sta cambiando come te. E’ rimasto fermo, uguale a quando tu sei partito. E la cosa ti fa sentire solo, diverso.
Ma piano piano, le cose si assestano, in meglio, per fortuna!
E se ogni tanto, cara Niki, ti cogliesse la voglia di scappare altrove, per evitare di mettere radici e di fermarti troppo a lungo? C’entra qualcosa con bodhisattva o è forse solo espressione di vigliaccheria esistenziale? Saperlo…